martedì 7 dicembre 2010

IL GUFO RAIMONDO E LA PULCE CARLOTTA




















C'era un gufo che si chiamava Raimondo ed in tutta la foresta era rinomato per la sua pigrizia. Rimaneva appollaiato al suo albero giorno e notte, anzi no, soltanto di notte, dato che di giorno se ne tornava nella sua tana a dormire. Ma non doveva neanche spiccare il volo per rientrare, poiché abitava nella cavità di quello stesso albero. Insomma, Raimondo si alzava tardi, mangiava due o tre insetti che passavano di lì, poi metteva la testa fuori e prendeva posizione sul ramo. Per ore se ne stava così immobile che l'albero pareva muoversi più di lui, aiutato dal vento ovviamente. No, Raimondo stava fermo come una statua, come un sasso, anzi no, come una montagna, come la grande montagna che vegliava su tutti gli animali della foresta.
Un giorno, poco prima dell'alba, una pulce molto atletica, che aveva fatto anche la maratona di New York e quella di Honolulu, passò per caso vicino all'albero di Raimondo. Appoggiandosi al tronco, iniziò a fare gli esercizi di riscaldamento, tanto per sgranchirsi le zampe. Alzò la testa e vide il gufo che sonnecchiava, o forse faceva solo finta di sonnecchiare, per questo non si fece problemi a disturbarlo.
- Buonasera gufo, tutto bene? - chiese, così per fare un po' di conversazione. Raimondo alzò mezza palpebra ma non vide nessuno. Incurante di tutto, la riabbassò, lasciando però una fessurina socchiusa, perché non si poteva mai sapere...
- Signor gufo, forse fa meglio a tornare nella sua tana. Dormire appollaiati è pericoloso, a volte una folata di vento ti può far perdere l'equilibrio. - E mentre diceva questo, la pulce incominciò sciogliere i muscoli scuotendo simpaticamente il corpicino.
Raimondo aprì entrambi gli occhi e li ruotò verso il basso per capire da dove proveniva quella voce. Sotto l'albero vide quella pulce, tutta atletica e con il pettorale numero 43.
- Oibò, una pulce – sussurrò, e poi richiuse gli occhi.
- Beh, non una pulce qualsiasi – ci tenne a precisare l'insetto. - Io sono la Carlotta, la pulce più veloce della foresta. Lo sa che io l'anno scorso sono arrivata terza alla maratona di Honolulu, e solo perché durante la gara, proprio sulla dirittura finale, mi si è messo di mezzo un grillo che era mio fan. “Vai-Vai!” mi urlava, ed io per scansarlo ho dovuto rallentare... povero grillo, si sentiva così in colpa dopo. Raimondo prestò poca attenzione a quelle parole, ma pensò bene di tornare in casa, dato che era quasi l'ora di andare a dormire.
- Mi spiace pulce, ma adesso la devo lasciare. Si è fatto proprio tardi – disse.
- Oh, non si preoccupi signor gufo, anche io devo scappare. Oggi ho in mente di scalare la grande montagna. Eh già!...
- La grande montagna? - ripeté Raimondo, credendola folle. - E perché mai?
La pulce ci pensò un attimo, quasi fosse stata presa di sorpresa. Poi alzò le spalle e rispose: - Mah, così tanto per fare...
Allora la pulce si mise in posizione, tutta concentrata e con i muscoli tesi, poi si dette anche il conto alla rovescia. Raimondo la guardava ancora un po' confuso, mentre un grosso sbadiglio gli fece strizzare i suoi due grandi occhi.
- Addio signor Gufo! - salutò la pulce, partendo di volata verso la montagna.
- Addio pulce – rispose Raimondo, e già non la vedeva più. Poi se ne andò a dormire.
Quella notte sognò che la pulce era arrivata fino in cima alla montagna, e poi si era spinta oltre, fino alle nuvole, alla luna e alle stelle. Si era fatta il giro di tutto l'universo e poi, non contenta, si era messa a ballare il tip tap su un buco nero. Infine se n'era tornata giù sulla terra, atterrando proprio sotto il suo albero. Carlotta gli aveva detto “non è poi così male lassù!”, indicando il cielo stellato. E lui le aveva risposto “neanche quaggiù è poi così male...”
Insieme avevano sorriso, lui che non si muoveva mai dal suo ramo e lei che non stava mai ferma. Perché per quanto si possa esser diversi, esiste sempre un motivo per sorridere insieme.

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